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Quando il preposto è ritenuto responsabile dell’infortunio accaduto a un lavoratore

In tema di infortuni sul lavoro il preposto, titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dei lavoratori, risponde degli infortuni loro occorsi purché sia titolare dei poteri necessari per impedire l’evento in concreto verificatosi.

All’esame della Corte di Cassazione questa volta è il ricorso presentato da un datore di lavoro condannato nei due primi gradi di giudizio per l’infortunio occorso a un suo lavoratore dipendente durante le operazioni di smontaggio di un elevatore e che aveva basato la sua difesa sul fatto che l’infortunio era accaduto perché il lavoratore stesso non aveva la competenza specifica per le operazioni che gli erano state assegnate e sul fatto altresì che il preposto da lui nominato non era intervenuto a impedire che l’evento lesivo accadesse.

 

La Corte di Cassazione, dopo avere sottolineato che nel caso in esame il preposto nominato dal datore di lavoro era un apprendista e quindi inidoneo a svolgere i compiti che il legislatore ha assegnato a tale figura con l’art. 19 del D. Lgs. n. 81/2008, ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha sostenuto in merito che in tema di infortuni sul lavoro il preposto, titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dei lavoratori, risponde degli infortuni a loro occorsi in violazione degli obblighi derivanti da tale posizione di garanzia purché sia titolare dei poteri necessari per impedire l’evento lesivo in concreto verificatosi, cosa che nel caso di cui al ricorso non si è verificato. Una decisione questa presa dalla Corte suprema del tutto in linea con le nuove diposizioni che il legislatore ha fissate con la legge n. 215/2021 a carico di tale figura e relative all’obbligo non solo di vigilare sull’operato dei lavoratori, ma anche di intervenire a correggere il loro comportamento o a sospendere la loro attività, se svolta in dispregio delle disposizioni di legge e aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, e a informare i superiori diretti.

 

In tal senso si era già espressa in precedenza la suprema Corte e si ritiene di citare in merito la sentenza n. 6855 del 22 novembre 2023 della IV Sezione penale “La condanna di un preposto per non avere sospesa un’attività pericolosa” e la sentenza n. 42035 della IV Sezione penale dell’8 novembre 2022, pubblicata e commentata nell’articolo “Sulla responsabilità del preposto per non aver vigilato”.

 

Il fatto, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

La Corte di Appello ha confermata la sentenza con la quale il Tribunale di M. aveva affermata la penale responsabilità di un datore di lavoro in relazione al delitto di lesioni personali colpose e, per l’effetto, aveva condannato lo stesso alla pena ritenuta di giustizia.

 

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell’imputato che ha articolato due motivi di ricorso. Con il primo motivo ha lamentato una violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 590, commi 1 e 3, cod. pen. e 18 e 19 del D. Lgs. n. 81 del 2008, nonché vizio di motivazione per contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento della prova in punto di valutazione della posizione di garanzia all’interno del complesso aziendale in cui si era verificato il sinistro e di individuazione del soggetto titolare di detta posizione.

 

Lo stesso difensore ha osservato al riguardo che, nella decisione della Corte territoriale, la ritenuta inidoneità dell’apprendista allo svolgimento dei compiti di preposto alla sicurezza sarebbe stata derivata illegittimamente e irragionevolmente dalla sola qualifica giuslavoristica da questi rivestita, posto che l’equiparazione inidoneità-apprendistato non è normativamente sancita e, nei fatti, sarebbe stata smentita dalla documentazione riversata in atti dalla difesa (lettera di assunzione del predetto, sua designazione quale preposto alla sicurezza e attestato di frequenza al corso “Modulo aggiuntivo per preposti”). La difesa ha sostenuto, altresì, che la Corte territoriale avrebbe errato nel rilevare la carenza di una idonea delega in favore del preposto, atteso che la titolarità, in capo allo stesso, della posizione di garanzia sarebbe discesa, in via diretta, dalla stessa nomina a preposto, nell’ottica di un modello organizzativo con “competenza a scalare”.

 

Ha sostenuto ancora il difensore che la decisione della Corte di Appello sarebbe stata ulteriormente errata nella parte in cui aveva affermato il concorso delle responsabilità del datore di lavoro e del preposto alla sicurezza, contrastando l’assunto sia con il quadro normativo di riferimento, sia con la logica di sistema, che individua nel preposto, laddove nominato, il soggetto che sovraintende e vigila sull’osservanza delle disposizioni concernenti l’esecuzione dell’attività lavorativa in funzione di esazione degli obblighi organizzativi incombenti sul datore di lavoro.

 

Ha assunto, da ultimo, che la pronunzia impugnata sarebbe stata viziata da un evidente travisamento della prova e, in particolare, della dichiarazione dello stesso preposto, quale teste, relativa a un pregresso impiego dell’infortunato in un’analoga attività nella parte in cui ha affermato che l’incidente occorso all’infortunato, soggetto privo di specifiche mansioni in ragione delle ridotte capacità professionali, si sarebbe verificato a causa del suo indebito coinvolgimento, dovuto all’applicazione sul cantiere di prassi “contra legem”, in una lavorazione, quale lo smontaggio di un elevatore, che richiedeva invece specifiche competenze.

 

Con il secondo motivo la difesa si è inoltre lamentato per la ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra la condotta tenuta dal datore di lavoro e l’evento in concreto verificatosi osservando al riguardo che nella decisione della Corte territoriale, dopo essersi erroneamente individuato nell’imputato il soggetto deputato al governo del rischio correlato alle lavorazioni, lo si sarebbe ritenuto responsabile, sul piano penale, dell’infortunio occorso al lavoratore senza tenere conto del comportamento tenuto dallo stesso quantomeno anomalo.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione manifestamente infondato così come sono state ritenute infondate le lamentele avanzate, posto che nel percorso argomentativo della Corte di Appello non sono state rinvenute né contraddittorietà, né manifesta illogicità, né, tantomeno, travisamento di prove dichiarative e ciò perché i giudici di tale Corte, alla stregua di quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, erano legittimamente giunti alla conclusione che il preposto come tale designato dal datore di lavoro alla vigilanza sull’osservanza degli obblighi di legge da parte dei lavoratori, fosse persona del tutto priva di specifiche competenze e che si limitava, di fatto, a veicolare, sul cantiere, le direttive afferenti allo svolgimento dei lavori, impartite dal datore di lavoro o da suo padre.

 

Tale conclusione, basata più sull’inidoneità del preposto come concretamente accertata in esito alla sua audizione, piuttosto che sulla qualifica di apprendista formalmente rivestita, aveva reso evidente l’assenza, in capo allo stesso, di efficaci poteri impeditivi di eventi lesivi in danno dei lavoratori, giustificando, ad un tempo, l’affermata responsabilità del datore di lavoro, in aderenza al consolidato insegnamento della Suprema Corte, secondo cui “In tema di infortuni sul lavoro, il preposto, titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità dei lavoratori, risponde degli infortuni loro occorsi in violazione degli obblighi derivanti da detta posizione di garanzia purché sia titolare dei poteri necessari per impedire l’evento lesivo in concreto verificatosi.

 

Destituito di fondamento ha ritenuto altresì la suprema Corte anche il secondo motivo di ricorso relativo alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra la condotta serbata dal datore di lavoro e l’evento in concreto verificatosi. La Corte territoriale, infatti, aveva esposto, con chiarezza e linearità, le ragioni dell’affermata rilevanza causale della condotta colposa del datore di lavoro, chiamato a rispondere, sul piano penale, del sinistro occorso al lavoratore per aver, a monte, designato, in maniera imprudente e negligente, un preposto privo delle necessarie capacità professionali e, pertanto, inidoneo a svolgere, in sua vece, i richiesti compiti di vigilanza e per avere poi, in prima persona, quale soggetto in concreto obbligato all’espletamento di detta attività per effetto della previa designazione inidonea, omesso l’adozione di iniziative valevoli a impedire il verificarsi dell’evento, consentendo o, comunque, non impedendo, ancorché ne avesse la possibilità e, prim’ancora, l’obbligo, che all’effettuazione dell’operazione durante la quale ebbe a verificarsi il sinistro attendesse un prestatore d’opera privo delle richieste competenze.

 

Alla stregua in conclusione delle considerazioni sopra indicate, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso con il conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento. La stessa, inoltre, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non vi è stata ragione di ritenere che il ricorso fosse stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, ha disposto che il ricorrente versasse, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro.